Cosa far� da grande




Passione & formazione: cronaca di un caso di handicap nella elementare di Trieste

Di Anna Maria Bifulco

Il ruolo, per cos� dire, di maestra, in un certo senso mi ha accompagnata da quando ero pressappoco una ragazzina ma mai avrei immaginato che l'insegnamento sarebbe stato il mio lavoro da "grande". Avevo tredici anni e gi� davo lezioni private a quindici bambini delle elementari. Confesso che questa esperienza mi divertiva molto anche perch� usavo, senza averne consapevolezza, una metodologia semplice e ludica, ispirandomi ad una trasmissione televisiva per ragazzi a carattere culturale "Chiss� chi lo sa".

Dopo anni di attivit� diverse mi sono ritrovata, per vari motivi, a riprendere l'insegnamento in qualit� di maestra specializzata.

Dell'insegnamento mi ha sempre colpito e interessato particolarmente l'aspetto psicologico (non a caso da un anno circa ho intrapreso in forma privata studi di psicologia)

Ho dato sempre molto importanza all'immagine guida del maestro e alla sua sensibilit� a interagire con il bambino in quanto l'insegnate rappresenta lo "scorrimano" su cui appoggiarsi nel primi passi e che permetter� poi al "piccolo" di lanciarsi nella vita e nel sociale. L'insegnamento inteso come un "dare" per guidare e un "saper prendere" per migliorarsi ha sempre rappresentato per me una esperienza affascinante. Essere a contatto con una materia preziosa" e sentirsi in un certo senso "partecipe" di essa � fortemente motivante e gratificante. E' come per l'agricoltore (l'esperienza non mi � nuova perch� la provenienza � rurale) che ha di fronte una piantina giovane e delicata ma virtualmente forte e rigogliosa e che deve contribuire ad alimentare la sua forza e a far si che si irrobustisca, che impari a sostenersi di fronte ai disagi del vento, della pioggia, del freddo, a far si che impari pure ad apprezzare e a godere del sole, dell'acqua e della terra e da essi impari a prendere nutrimento.

Non � mia intenzione fare retorica (se ne fa gi� troppa) n� intendo fare il "compito in classe" sul tema "educazione e formazione" ma tutto ci� che vado ad esprimere sono reali convinzioni scaturite dalle mie esperienze personali sia nella condizione di bambino che nel ruolo poi di insegnante.

Io penso che sia importante che l'insegnante colga e rispetti l'individualit� sana e dinamica che � in ogni bambino e che, come suo compito, la favorisca. Con i bambini in "difficolt�", che loro malgrado portano il fardello di una "malattia" di un "guasto" che non hanno scelto di avere, il compito � senza dubbio molto pi� difficile. Comprendere fin dove l'handicap "impedisce" e dove invece il terreno � disponibile alla semina implica un impegno di grande sensibilit� e competenza. Permette all'alunno di acquisire, la dove � possibile, quelle capacit� e strumentalit� che gli diano un'autonomia necessaria per darsi un proprio ruolo individuale e una propria dignit� nel sociale, non � sempre facile. Questo non vuol dire che bisogna a mio avviso affrontare l'esperienza di insegnante con ansia e insicurezza, siamo persone come altre che sbagliano e imparano, ma � necessario tener presente la responsabilit� del proprio ruolo ed evitare l'errore intenzionale e, in quest'ottica, tutto il resto poi si migliora da s�.

Le mie trascorse esperienze, in qualit� di insegnante specializzato, sono maturate in paesini di periferia in provincia di Salerno, in una realt� socio-culturale molto diversa da quella di Trieste. L'ambiente in cui ho operato si presentava povero di stimoli sia dal Punto di vista culturale che sociale e il territorio carente di strutture formative.

In questi cinque anni di pre-ruolo ho lavorato soprattutto con bambini fortemente disadattati e le loro carenze cognitive e le loro difficolt� di apprendimento derivavano soprattutto dalle condizioni socio - ambientali dei famigliari. Infatti gli alunni provenivano da famiglie culturalmente e socialmente emarginate e completamente inadeguate a comprendere le esigenze formative dei figli in considerazioni soprattutto di una societ� come la nostra che si evolve in maniera dinamica e continua. Gli interventi, quindi, erano finalizzati sia a far acquisire agli alunni maggiori competenze strumentali e sia a promuovere un reale loro inserimento e integrazione nel gruppo. Per quanto riguarda le famiglie bisognava sensibilizzarle ai problemi dell'et� evolutiva e ad essere pi� attente e partecipi allo sviluppo formativo del propri figli e far si che ponessero su di loro valide ed adeguate aspettative scolastiche.

Si comprende facilmente da ci� che lavorare a Trieste ha rappresentato per me il confrontarmi con un ambiente per molti aspetti nuovo.

La societ� triestina si presenta certamente con una tipologia diversa da quella da cui provengo. In virt�, quindi, del lavoro che andavo a svolgere, era necessario avere un'idea chiara dell'ambiente sociale in cui dovevo operare, comprendesse le dinamiche relazionali, le aspettative, gli scopi, le problematiche.

In quest'ottica ho cercato gi� dai primi giorni che mi sono stabilita qui, di relazionarmi con la gente del posto osservandone e comprendendone (per quanto era nelle mie capacit�) i "vizi" e le "virt�". Ho cercato di conoscere la storia recente della citt�, di comprendere le pesanti ripercussioni, per altro non completamente ancora "digerite", dell'ultima guerra e dell'esodo degli istriani e in pi� la capacit� di adattamento e di convivenza con realt� etniche molto diverse tra loro.

Ho trovato, qui a Trieste, un territorio ricco di strutture e un ambiente stimolante e molto disponibile alle iniziative culturali ed educative per i bambini.

In considerazione dei miei trascorsi professionali anche l'ambiente scolastico per certi aspetti si � presentato nuovo sia nelle modalit� relazionali che nel modo di intendere il proprio lavoro. Tra tanti aspetti osservati e vissuti particolarmente mi ha colpito il senso di responsabilit� e la partecipazione attiva di molti miei colleghi che mi hanno portato a fare riflessioni interessanti sul modo di vivere la scuola e il modo di svolgere il proprio ruolo. Allo stesso modo mi sono fortemente compiaciuta della disponibilit� espressa dalla scuola verso iniziative didattico - formative e della sua capacit� di stimolare il "corpo docente" ad esprimersi su valori sempre pi� qualitativamente validi. Un altro aspetto che ha colto il mio interesse riguarda le modalit� di accoglienza e di considerazione verso gli alunni e le loro famiglie che si sono rivelate molto attente ed esigenti per quanto riguarda i contenuti e le finalit� che la scuola si prefigge di raggiungere.

Tutto questo mi ha portato a considerare le molteplici competenze che si richiedono a noi insegnanti in vista anche del carattere di "autonomia" che la scuola dovr� assumere in considerazione della nuova riforma scolastica. In questo senso credo che lavorare e sperimentarmi alla "Dardi" sia stato fortemente arricchente. Per quanto riguarda poi le relazioni intra-modulare sono sempre pi� convinta che � importante un discorso di lavoro in �quipe: armonico, equilibrato, collaborativo e di intersezione tra le varie discipline. Quest'anno lavorando su due moduli, per certi aspetti diversi sia nella modalit� di relazionarsi nel personale che in quello collaborativo, ho potuto valutare i diversi risultati in considerazione delle diverse premesse. In riferimento poi alla mia specificit� professionale ho dovuto constatare che nonostante le realt� diverse (vedi le mie passate esperienze e quella attuale) le problematiche che l'insegnante di sostegno si trova ad affrontare sono quasi sempre le stesse: le condizioni pi� o meno di "solitudine" nel programmare e svolgere il proprio lavoro soprattutto in riferimento alla scarsa collaborazione delle varie agenzie preposte a seguire il bambino nel cammino formativo; le difficolt� ad affermare la propria partecipazione professionale non in merito solo del bambino portatore di handicap ma in considerazione di tutta la classe. In riferimento a ci� ho inteso, dove � stato possibile, di rapportarmi non solo all'alunno "assegnatomi" ma a tutti gli alunni della classe dei quali mi sono sentita pienamente corresponsabile. Ho cercato di dare il mio contributo negli incontri con i genitori esprimendo il mio punto di vista su situazioni sia positive che problematiche e devo dire che gli effetti scaturiti da questa forma di "partecipazione" sono stati per me gratificanti.

Meno attiva probabilmente � stata la mia partecipazione nelle attivit� e incontri collegiali ma posso dire di non aver inteso dare meno importanza a questo aspetto del mio lavoro ma essendo io "nuova" e con esperienze diverse ho valutato fosse meglio osservare e imparare e oggi, acquisita una maggiore sicurezza professionale e personale mi sento fortemente stimolata e pronta a questo tipo di esperienza.

IL CASO

Quest'anno ho seguito inseriti in due moduli tre bambini di terza, uno con problemi di comportamento e di apprendimento, un altro con ritardo cognitivo e disturbi comportamentali con problematiche famigliari abbastanza pesanti e il terzo portatore della sindrome di Down. Tre alunni con problemi molto diversi tra loro e per questo il lavoro si � presentato molto impegnativo, diversificato e con richieste di competenze valide. Parler� in questa mia relazione del caso pi� difficile e complesso: il bambino con la sindrome di Down perch� � stato quello che pi� degli altri due mi ha messo sul "banco di prova" sia nella relazione con la famiglia sia nelle capacit� professionali. L'esperienza con questo bambino � stata per me un'esperienza nuova in quanto, per la prima volta, mi sono trovata ad affrontare un handicap grave che richiedeva, quindi, competenze specifiche e modalit� di interventi diverse da quelle sperimentate nelle mie passate esperienze. La difficolt� del caso era appesantita dal fatto che l'alunno non avesse n� una diagnosi funzionale n� un profilo dinamico funzionale che, in caso di handicap grave, possono dare riferimenti importanti se non indispensabili per le scelte programmatiche dell'iter didattico - educativo individualizzato. La famiglia del bambino, inoltre, viveva con forte frustrazione la realt� di handicap del figlio. I genitori del minore, come spesso succede, non accettavano n� che il bambino presentasse dei limiti cognitivi (per altro abbastanza forti ed evidenti) n� che non svolgesse il normale programma di classe.

L'alunno � figlio unico, con genitori giovani, ha 10 anni e frequenta la classe 3a.

All'inizio dell'anno scolastico il bambino si presentava ben accettato e inserito nella classe. Manifestava una gran volont� di comunicare e di relazionarsi e ci� avveniva soprattutto con le persone che conosceva e che gli ispiravano fiducia mentre difficilmente accettava contatti con persone estranee al suo abituale quotidiano. Possedeva una buona autonomia nel lavarsi e vestirsi. Anche dal punto di vista motorio era abbastanza "capace" mentre nella motricit� fine: espressione grafica e abilit� oculo-manuale, presentava grosse difficolt�. Grossi limiti si incontravano nell'orientamento spazio-temporale, nella capacit� di astrazione e di sintesi e nel linguaggio scritto e orale: pronunciava parole non sempre comprensibili, comunicava con la parola-frase e conosceva alcune lettere dell'alfabeto che era in grado di scrivere con il ripasso in forma non precisa.

Non mostrava di avere consapevolezza del s� corporeo e della sua identit� personale. Il suo comportamento era spesso imprevedibile ed inadeguato e per questo l'alunno era seguito costantemente sia da me, insegnante di sostegno, che dall'educatrice.

Le modalit� di apprendimento dell'alunno sono a mio avviso e in considerazione dello specifico handicap del tipo a "struttura fissa" infatti lui apprende per imitazione e memoria in forma stereotipata e manifesta grosse difficolt� di elaborazione. Nella scelta degli obiettivi, quindi, e della metodologia ho dovuto tener presente questa realt�. I contenuti proposti dovevano essere presentati da varie "angolature" affinch� "entrassero" e venissero fatti propri in modo giusto. Lo stesso valeva per il comportamento, in quanto, il bambino osservava, memorizzava e imitava non sempre cogliendo la giusta funzionalit� e finalit� dall'azione.

Non nascondo che all'inizio di questa mia esperienza ho avuto delle difficolt� nel proporre un iter didattico - educativo adeguato e valido e in alcuni casi ho dovuto anche sperimentare la validit� di un intervento rispetto ad un altro.

Avendo il bambino un temperamento abbastanza deciso e facile al rifiuto di fronte al lavoro "nuovo" e impegnativo, non � stato trascurato l'aspetto affettivo-relazionale fra lui e la "sua" insegnante. Sono stata molto attenta nel farmi accettare (cosa avvenuta abbastanza rapidamente) in quanto ho cercato di pormi in complicit� con lui "entrando" a suo modo nei suoi giochi e nei suoi interessi per poi ricondurlo a "me" cio� a ci� che andavo a proporgli.

La stessa importanza e la stessa attenzione ho cercato di avere nella relazione con la famiglia ma dopo un inizio sereno e di scambio il compito � diventato pi� difficile. Le esigenze e le aspettative poste dai genitori dell'alunno sul mio lavoro sono diventate sempre pi� inadeguate ai risultati che si ottenevano e che, forse, si sarebbero potuti ottenere.

E' venuta a mancare, probabilmente, anche la mia disponibilit� a gestire adeguatamente questa relazione soprattutto in seguito alle pressioni abbastanza continue della famiglia per altro fatte in un modo poco rispettoso. Confesso che in un particolare momento mi sono lasciata "prendere" da questa situazione e ho rischiato di demotivarmi ed inevitabilmente di fame ricadere sul bambino le conseguenze.

Oggi sono contenta del modo con il quale ho superato questa "defaillance" soprattutto quando ho voluto ridare fiducia alle mie capacit� professionali, alle mie capacit� di valutarne i limiti e gli errori e, allo stesso tempo, a comprendere ed accettare come dato di fatto lo stress, le ansie, le frustrazioni che spesso accompagnavano i famigliari dei portatori di handicap.

Ho imparato qualcosa in pi� sul non lasciarsi "prendere" dalle situazioni difficili e pesanti che spesso si presentano in questo lavoro ma di osservarle e valutarle con un igienico distacco e cos� facendo avere pi� possibilit� di gestirle nel modo migliore e pi� giusto. Lavorare con serenit�, con voglia di fare e soprattutto con "giudizio" e, perch� no, anche con il buon umore sono condizioni favorevoli e forse indispensabili per ottenere piccoli o grandi successi. Nel caso specifico dell'alunno in questione credo che gli obiettivi in buona parte siano stati raggiunti non tanto nel superamento di particolari difficolt�, che probabilmente potranno essere anche in seguito solo alleggerite, ma quanto nel favorire le sue possibilit�. L'alunno, infatti, ha ottenuti buoni miglioramenti nelle capacit� di relazionarsi con gli altri e le cose e nell'assumere un adeguato comportamento in situazioni specifiche. Il bambino � migliorato nelle abilit� grafiche, in quelle pittoriche e nelle abilit� fine motorie. Allo stesso modo si sono alleggerite, anche se in minima parte, le difficolt� di percezione dello spazio e del tempo e le difficolt� stesse del linguaggio. L'alunno, infatti, ha arricchito il suo vocabolario, pronuncia molte parole in modo pi� chiaro, si esprime cominciando ad usare alcune voci verbali, scrive e legge semplici parole - lettera per lettera - ma non ha ancora la parola nel suo insieme. Buoni risultati si sono avuti nel far acquisire all'alunno la capacit� di avere consapevolezza del s� corporeo e nel riconoscersi una identit� personale.

In merito proprio all'obbiettivo di "riconoscersi un'identit� personale" andr� a esporre uno del momenti dell'iter didattico - educativo individualizzato in quanto ritengo questa capacit� una delle basi da cui partire per il raggiungimento di una sufficienza autonomia necessaria, se non indispensabile, all'integrazione nel sociale. Nel caso specifico dell'alunno, per proporre questo obiettivo, era necessario che il bambino avesse sufficientemente chiaro lo schema corporeo e una consapevolezza del s� corporeo. Si sono proposte, quindi, attivit� allo specchio, confronti tra la sua immagine e quella di altri (insegnante, compagni). In seguito abbiamo disegnato, in forma reale, la sua sagoma e operato confronti e osservazioni tra la sua immagine corporea e la sagoma riportata in modo che l'alunno comprendesse che l'immagine allo specchio, la sagoma e il suo corpo reale rappresentano un'unica cosa e cio� "s� stesso".

Poi in seguito abbiamo riprodotto, sempre in forma reale, le sue mani e i suoi piedi e rivisitato le varie funzioni di essi. E' stato interessante osservare come l'alunno con grande curiosit� manipolava e usava le sue mani a conferma che le stava conoscendo da un nuovo punto di vista e ci� ne rafforzava la consapevolezza. Poi l'alunno ha cominciato e disegnare la sua figura, quella di alcuni suoi compagni e quella della sua maestra verbalizzando, spontaneamente, le varie parti che man mano rappresentava. Considerando la disponibilit� dell'alunno a queste attivit� si � proceduto a proporgli l'obiettivo prefissato. Sono state mostrate al bambino alcune sue foto che rappresentavano le varie tappe della sua crescita facendo in modo che si identificasse in esse sia come immagine che come nome. Poi usando alcune sue fotografie recenti che lo ritraevano insieme al familiari e compagni e utilizzando dei bigliettini opportunamente incollati su ogni immagine di persona, identificavamo e scrivevamo i nomi corrispondenti alle varie immagini compresa la sua.

Come verifica finale, sempre con l'uso di una sua foto, l'alunno doveva riconoscersi in un gruppo e assegnarsi, scrivendolo, il proprio nome. La metodologia usata � stata la seguente: gli interventi sono stati proposti in forma rigorosamente graduale e in considerazione della disponibilit� del bambino e del suoi tempi, le attivit� sono state presentate e svolte in forma di gioco e considerando il vissuto concreto del bambino. I mezzi utilizzati sono stati: foto personali, colori, carta, colla, forbici, specchio.

Quest'anno � stato senza dubbio un anno ricco di esperienze non solo dal punto di vista pratico ma anche per quello teorico.

Una cosa mi � molto chiara oggi e cio� che in ogni caso � comunque l'insegnante che fa la qualit� della scuola (senza togliere importanza a nessun ruolo) e ci� mi rincuora e mi da ottimismo pensando a quei bambini che vivono la scuola in ambienti poco generosi e sensibili all'importanza dello sviluppo educativo e formativo.